La valutazione complessiva dei Comuni sulla legge di bilancio non può essere positiva, nonostante vi siano misure favorevoli e significative su alcuni versanti.Dopo alcuni anni di assenza di tagli alle risorse comunali, rammarica fortemente che si torni al passato con tagli diretti che sembrano riguardare solo i Comuni. La restituzione di agibilità alla leva fiscale territoriale è solo un normale ritorno alla normalità ordinamentale e costituzionale, a quella autonomia di entrata e di spesa assegnata dall’articolo 119 della Costituzione.

Autonomia nell’esercizio dei poteri e delle prerogative costituzionali e responsabilità verso i cittadini sono un binomio inscindibile che deve ritrovare svolgimento ordinario e non continue interruzioni, anche nell’ambito di una revisione organica della finanza comunale.

La grave stretta operata sulla spesa corrente deriva da un concorso di misure e previsioni negative. La preoccupazione si aggrava alla luce di alcuni dati di fatto che merita ricordare e che il Governo non ha voluto considerare: il comparto dei Comuni è quello che ha contribuito di più negli anni alle politiche di risanamento dei conti pubblici sia in termini assoluti che proporzionali, in rapporto agli altri livelli della PA. La spesa corrente dei

Comuni si è ridotta sistematicamente dal 2010 (-7% senza considerare l’effetto dell’inflazione), lo stock di debito ha un costante trend decrescente, il personale comunale si è contratto di circa il 15% in un contesto di nuove funzioni devolute, di riforme da attuare, di oneri burocratici a cui far fronte.

La legge di bilancio è quindi sostanzialmente iniqua e introduce a sfavore dei Comuni una disparità di trattamento rispetto agli altri livelli di governo: prevede nuovi tagli e non restituisce le risorse sottratte da norme i cui effetti sono conclusi, come invece dovrebbe e come è accaduto per altri comparti oggetto delle stesse norme. Sembra venir meno un principio di eguaglianza istituzionale, con eventuali profili di illegittimità costituzionale. In concreto, il disappunto si accresce considerate le proposte avanzate da ANCI che si limitavano ad elementi essenziali e fondamentali per assicurare alleggerimenti normativi e fondi di parte corrente dovuti in base a norme vigenti, che avrebbero dovuto completare gli importanti avanzamenti connessi al superamento definitivo dei vincoli finanziari aggiuntivi e all’abolizione del blocco dei tributi locali. Le richieste fondamentali hanno formato oggetto di un impegno formale in Conferenza Stato-Città ed autonomie locali all’atto della formulazione del parere sul Fondo di solidarietà comunale.

Rispetto ai contenuti degli impegni ivi formulati sono stati accolte le seguenti richieste:

  • Maggiorazione Tasi, come applicata negli scorsi anni

  • Reintroduzione della maggiorazione dell’imposta pubblicità e rateazione degli eventuali rimborsi (a seguito della sentenza CCost n. 15/2018)

  • Sospensione della progressione della quota perequativa del Fondo di solidarietà comunale

  • Recepimento dell’accordo del 18 ottobre relativo al finanziamento del cd.“Bando Periferie” (riguarda 96 enti tra Comuni capoluogo e Città metropolitane).

Altre questioni fondamentali risultano accolte parzialmente, nonostante gli impegni:

  • l’anticipazione di tesoreria, che viene ridotta a 4/12 (dai 5/12 costantemente mantenuti negli ultimi anni);

  • l’ulteriore intervento per sostenere il pagamento dei debiti pregressi con il contributo di Cassa Depositi e prestiti, prefigurato come una nuova anticipazione di liquidità, in concreto risulta poco efficace alla luce del rimborso entro l’anno e anzi aggiunge un pesantissimo ed inedito giro di vite sanzionatorio (dal 2020) caratterizzato da:o un meccanismo di mera anticipazione a restituzione ravvicinata (entro l’anno di acquisizione dei fondi), che non fornisce effettivo sollievo aggiuntivo e quindi ben diverso dal percorso di restituzione pluriennale attivato negli scorsi anni con il decreto-legge n. 35 del 2013. o criteri in base ai quali si determina l’obbligo di ingentissimi accantonamenti (fino al 5% della spesa per beni e servizi intermedi), anche nei casi in cui l’ente locale non ha nessun problema di ritardo nei pagamenti e, nei casi di persistenti problemi, di dimensioni tali da causare di per sé una crisi finanziaria irrimediabile;

  • il concordato mantenimento al 75% (rispetto all’85% previsto dalla normativa vigente) della percentuale obbligatoria di accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) si concretizza invece in un aumento all’80%, per di più sottoposto al rispetto di condizioni relative al rispetto dei tempi di pagamento delle fatture commerciali, che rischiano di mettere in maggiori difficoltà proprio gli enti in condizioni di cassa più critiche. Inoltre, non viene assicurato che la stessa percentuale di accantonamento minimo in previsione sia applicabile anche a consuntivo;

  • il fondo “IMU-Tasi”, che lo stesso Ministero dell’Economia ha a suo tempo certificato formalmente in almeno 485 milioni di euro viene ulteriormente ridotto a 190 milioni. Inoltre, la norma suscita gravi preoccupazioni, in quanto sembra imporre l’utilizzo vincolato a spese di investimento. Questa lettura costituirebbe una evidente contraddizione con lo scopo del contributo che è di ristorare oltre 1.800 Comuni del gettito non più acquisibile con il passaggio dall’IMU alla Tasi avvenuto nel 2014, gettito che non aveva ovviamente alcun vincolo di destinazione.

Non viene presa in considerazione l’esigenza di rientro dal taglio di 564 milioni subito dai Comuni per effetto del decreto 66/2014, che lo stesso decreto limitava nel tempo fino al 2018, mentre crescono gli oneri di parte corrente anche per il rinnovo contrattuale del triennio 2019-21, quantificati in 180 milioni per il solo 2019.

Le Città metropolitane restano escluse dal fondo di 250 milioni per la manutenzione di strade e scuole pubbliche.

Non viene attivata la promessa ripetizione del riaccertamento straordinario dei residui, utile anche per attutire gli effetti negativi dell’abolizione senza compensazione dei debiti esattoriali 2000-2010 di importo fino a 1.000 euro (art. 4 del “decreto fiscale – dl 119/2018), che riguarda quasi esclusivamente i Comuni e che comporterà un peggioramento degli equilibri finanziari di molti enti.

Viene inoltre approvata una riduzione dei carichi fiscali per contribuenti in difficoltà finanziaria e indicatore ISEE fino a 20mila euro, che non è chiaramente delimitata ai debiti erariali e che se risultasse applicabile anche ai tributi locali comporterebbe ingenti perdite di gettito per i Comuni.

Nel complesso, quindi, i miglioramenti sul versante della capacità di spesa per investimenti (abolizione vincoli finanziari e contributi) non compensano l’ulteriore stretta di parte corrente che i Comuni dovranno fronteggiare per il 2019, dopo aver contribuito in modo straordinario e sproporzionato al risanamento dei conti pubblici nel recente passato.

L’ANCI chiede un provvedimento urgente finalizzato a evitare contenziosi e ad assicurare maggiori spazi di manovra limitando al minimo le insostenibili riduzioni di risorse di parte corrente, fondamentali per assicurare il ruolo dei Comuni nella ripresa economica e nella gestione dei servizi locali. A tal fine, predisporrà una bozza di decreto-legge da proporre alla discussione con il Governo, attivando comunque, in collaborazione con i Comuni, ogni iniziativa utile in sede giurisdizionale per far valere le ragioni dei Comuni al fine di ottenere le risorse sottratte necessarie a finanziarie il fabbisogno delle funzioni fondamentali.

L’articolo Ai Comuni Italiani NON piace la Legge di Bilancio: tutte le critiche dell’ANCI alla recente legge di bilancio proviene da Unione Geometri.

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Autore: Redazione

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