L’evoluzione dalla omonima macchina di calcolo ai moderni computer è dovuta al matematico britannico Alan Mathison Turing (1912-1954), pioniere della scienza informatica, dell’intelligenza artificiale e fra le più eccelse menti scientifiche del XX secolo. Tuttora, la macchina di Turing – introdotta nel 1936 – è un potente strumento, utilizzato nello studio della complessità degli algoritmi ed a supporto degli studiosi nella comprensione del calcolo meccanico. Altresì noto come brillante crittoanalista – per l’ideazione di una serie di tecniche di decodificazione dei cifrari utilizzati da diplomatici tedeschi, durante la II Guerra mondiale – , lo scienziato anticipò anche il concetto del famoso “effetto farfalla”. Nel saggio ‘Macchine calcolatrici e intelligenza’ (1950), Turing scrisse: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».

Implicazioni globali della selezione delle risorse

In seguito, il concetto fu analizzato dal matematico statunitense Edward Lorenz (1917-2008) per indicare come la variazione infinitesimale delle condizioni iniziali possa produrre grandi e crescenti variazioni nel comportamento successivo di sistemi dinamici non lineari. Il titolo di un articolo di Lorenz, pubblicato nel 1972, è tuttora celebre: «Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?». Al giorno d’oggi, la metafora dell’effetto farfalla viene spesso utilizzata per sottolineare come ogni singola azione possa determinare un imprevedibile futuro. Se ciò è valido perfino riguardo lo spostamento di un singolo elettrone, immaginate cosa potrebbe significare la scelta del materiale utilizzato per la progettazione industriale di ciascun prodotto, in relazione alle dinamiche globali. Sia il progettista che l’esperto dei materiali sono chiamati, per realizzare progetti ad alta tecnologia, a responsabilità e sfide sempre più ampie: per il progettista, innanzitutto, sarà necessario uscire da un’ottica prettamente economica per orientarsi su una selezione dei materiali su basi scientifiche.

Dal canto suo, all’esperto dei materiali sarà sempre più richiesta la messa a punto di materie dalla più elevata resistenza, modificando le leghe esistenti, creandone di nuove o implementando nuovi trattamenti. E non è tutto. Difatti, non si può ignorare un altro aspetto fondamentale, nel momento in cui si effettua la scelta del materiale più idoneo a realizzare un prodotto industriale. Le risorse naturali a cui l’uomo fa ricorso per la trasformazione dalle materie prime ai dispositivi più tecnologici in commercio – quali, ad esempio, computer o smartphone ed altre sofisticate periferiche – sono parte integrante dell’ambiente stesso in cui viviamo e non è accettabile dissiparle. Il patrimonio di risorse naturali va preservato, tramite un risparmio delle materie prime e minimizzando l’impatto globale delle attività umane.

L’argomento in questione è stato affrontato dall’ingegnere metallurgico britannico, Michael Farries Ashby (n. 1935), nel volume ‘Materials Selection in Mechanical Design’: «L’intera attività umana ha un certo impatto sull’ambiente. In parte, l’ambiente possiede una capacità di farvi fronte, in modo che un certo livello di impatto possa essere assorbito senza danni permanenti. Ma è chiaro che le attuali attività umane superano tale soglia con una frequenza crescente, abbassando la qualità del mondo in cui oggi viviamo e minacciando il benessere delle future generazioni. La fabbricazione e l’utilizzo dei prodotti, con il loro consumo combinato di materiali ed energia, sono fra i responsabili. Tale posizione è enfatizzata dalla seguente affermazione: all’attuale tasso di crescita globale del 3% annuo, estrarremo, elaboreremo ed elimineremo più “roba” nei prossimi 25 anni che nell’intera storia industriale dell’umanità.

In genere, la progettazione ambientale è interpretata come lo sforzo di adattare i nostri attuali metodi di progettazione per correggere il noto e misurabile degrado ambientale; i tempi d’esecuzione di questa idea sono pari a circa dieci anni, pari all’aspettativa di vita media di un prodotto. Il design per la sostenibilità è una visione più ampia: si tratta di adeguarsi ad uno stile di vita che soddisfi i bisogni attuali senza compromettere i bisogni delle generazioni future. I tempi di esecuzione in questo caso sono meno evidenti – misurabili in decenni o secoli – e l’adattamento necessario è di gran lunga maggiore1».

L’industria tecnologica: il caso dei metalli rari e le normative sui minerali di conflitto

Pensiamo in particolare agli 8,5 miliardi di dispositivi informatici – che, per la prima volta, nel 2014 hanno superato numericamente la popolazione mondiale – attualmente in uso: per produrre computer, laptop, smartphone e le varie componenti e periferiche, sono utilizzati ben 50 dei 90 elementi naturali esistenti sul pianeta. Alcuni dei quali, come l’afnio, iniziano rapidamente a scarseggiare. Va notato inoltre che – oltre alla minore disponibilità –, vi sono ulteriori questioni da tenere in considerazione, relativamente al caso di certi elementi chimici. Vedremo di seguito il motivo.

Per la realizzazione degli smartphone si impiegano gli stessi materiali usati nella produzione dei computer portatili o fissi, essendo praticamente dei computer miniaturizzati: una serie di materie plastiche, leghe e metalli, sebbene con notevoli variazioni. Oro, alluminio, zinco, rame, ferro e nichel sono fra i più frequenti elementi con cui si fabbricano tali dispositivi. Ad essi si aggiunge il biossido di silicio. Estratto sotto forma di sabbia silicea o quarzo, è fra i più abbondanti costituenti della crosta terrestre – utilizzato nell’elettronica informatica ed in un’ampia gamma di prodotti su scala globale, come il cemento armato ed il vetro. Schede di memoria SSD, processori CPU, unità di elaborazione grafica (GPU) e microchip, così come i circuiti integrati della RAM, vengono prodotti a partire dal silicio derivato dalla quarzite. Ad ogni modo, per accelerare le prestazioni dei processori, aziende globali come IBM e Intel stanno facendo utilizzo di un metallo raro, impiegato anche nelle barre di moderazione dei reattori nucleari che controllano il tasso di fusione di uranio e plutonio: l’afnio, appunto, di cui si ritiene che il tenore sulla crosta terrestre sia dello 0,0009%. Tenendo presente che il numero di CPU per ciascun microchip è raddoppiato con gli smartphone di ultima generazione, è logico chiedersi come sia possibile mantenere un simile ritmo di sviluppo tecnologico, senza trovare un materiale alternativo all’afnio?

Una panoramica dei minerali usati nei componenti informatici

Il disco rigido o disco fisso (HDD), come evoluzione dal formato DAT degli anni Ottanta, legge e scrive i dati su un supporto magnetico, come un nastro – solitamente composto da un film plastico e rivestimento in ossido di ferro e biossido di cromo. Per il disco viene utilizzata una lega di alluminio e magnesio con l’aggiunta di elementi quali rame, zinco e silicio. La testina di lettura/scrittura per accedere ai dati memorizzati è realizzata in lega nichel-fosforo, mentre lo strato magnetico del disco rigido, dovendo aumentare le prestazioni relative alla capacità di memoria dei dati immagazzinati, negli ultimi anni viene realizzato in platino e rutenio. Quest’ultimo, meno costoso del platino, in termini di scarsità sul pianeta è stato classificato al settantaquattresimo posto sul totale dei novanta elementi presenti in natura.

Per quanto riguarda le GPU, esse sono composte da strati di silicio puro, con condensatori e transistor al tantalio e palladio – un altro metallo molto raro del gruppo del platino e di cui l’estrazione industriale si effettua a partire dai sottoprodotti della raffinazione o dai processi estrattivi di rame, piombo e nichel. In alcuni casi, si procede all’estrazione diretta di minerali reperibili in Canada e nella Repubblica Centrafricana. Le schede RAM, invece, sono realizzate con un elevato numero di elementi chimici, fra i quali il rame, il boro, il tungsteno – anch’esso poco diffuso sulla crosta terrestre, perlopiù presente in altri minerali in una percentuale inferiore all’1% – e il cobalto, del quale i principali produttori mondiali sono il Congo, lo Zambia, la Russia, la Cina e l’Australia.

Le unità di memoria a stato solido (SDD) constano di barre di silicio che, dopo uno specifico processo di pulizia sono pronti per le memorie NAND flash – delle quali non sono resi noti i materiali di fabbricazione, essendone la proprietà intellettuale tutelata dalle aziende che le progettano. Nel progetto del circuito sono stampati centinaia di triliardi di transistor, utilizzando l’idrossido di potassio stratificato con una sostanza fotoresistente e tramite un processo di polimerizzazione. Si tratta di componenti hardware piuttosto complessi, impiegati per accelerare i tempi di avvio e l’elaborazione grafica in vari software di progettazione. I chip NAND flash, ricoperti da involucri di protezione in plastica, sono collegati alla scheda PCB allocata in un involucro d’alluminio.

Seguono i PCB utilizzati nelle schede madri, come le schede a circuito stampato, composte da uno strato di materiale isolante con conduttori di rame, ed i connettori per schede elettroniche – noti anche come connettori PCB –, costituiti da un alloggiamento e contatti che uniscono le sezioni dei circuiti su un circuito stampato, ossia schede dove vengono stampate piste conduttive per componenti elettronici. Oltre al rame, per connessioni e interruttori sono usati anche zinco, oro, argento e stagno. Nei resistori – componenti che resistono al flusso di diverse correnti elettriche, essenziali nella progettazione degli hardware ed in altre tipologie di elettronica –, gli elettrodi metallici presenti alle estremità sono realizzati in una lega composta da argento, palladio e platino, di cui i principali giacimenti si trovano in Sudafrica, Zimbabwe, Russia, in Canada e negli USA.

Normativa statunitense ed europea sui minerali di conflitto

I condensatori, minuscoli componenti elettrici fissati sulle schede madri, consentono il passaggio della corrente alternata e alterano il voltaggio della corrente continua per adattarsi a dischi rigidi e schede grafiche. Per tali componenti viene usato il tantalio, il quale non solo è un elemento assai raro, ma – assieme all’oro, lo stagno e il tungsteno – viene definito “minerale di conflitto” nella sezione 1502 del Dodd-Frank Act. La legge federale, emanata il 21 luglio 2010, obbliga le società registrate negli USA a riferire alla Commissione statunitense per i titoli e gli scambi (SEC) circa l’utilizzo di prodotti contenenti materiali di conflitto, ossia provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dagli Stati limitrofi – Repubblica Centrafricana, Angola, Zambia, Sudan, Burundi, Repubblica del Congo, Tanzania e Ruanda.

In maniera analoga, per le aziende dell’Unione europea, entro il 1° gennaio 2021 scatterà l’obbligo di conformarsi al Regolamento UE 2017/821 che prevede la tracciabilità di filiera per i suddetti minerali, spesso indicati anche come 3TG.

Per l’estrazione di tantalio dai giacimenti di columbite e tantalite presenti della regione dei Grandi Laghi – a cui si fa riferimento con l’espressione “coltan” – occorre infatti ricordare che, durante le due guerre congolesi, gruppi armati locali hanno acquisito il controllo della filiera, sostituendosi alle amministrazioni statali. «Il fatto che il coltan non venga più estratto da poche grandi industrie, bensì da piccoli gruppi di minatori sparsi nella regione, e che anche la sua commercializzazione sia divenuta frammentaria, ovvero gestita da commercianti e mediatori di vario tipo e di diversa importanza, ha creato le condizioni ideali per lo sviluppo di tutta una serie di attività illegali, sulle quali lo Stato non ha potere di controllo e nelle quali, del resto, persino l’esercito regolare è implicato2». Attività in cui sono coinvolti anche Stati come il Ruanda e l’Uganda: «La triangolazione attraverso il Ruanda serve primariamente ad ovviare il problema di una provenienza scomoda per il coltan congolese, in quanto estratto da soggetti che violano la sovranità dello Stato e venduto attraverso dei canali informali. In effetti, la legge ruandese prevede che un minerale importato possa essere rivenduto con un’etichetta “made in Rwanda” qualora esso subisca una primaria trasformazione in loco e se il suo valore risulta accresciuto di un 30% circa. In tal modo il coltan proveniente dalla RDC può essere poi commercializzato come minerale ruandese e raggiungere i mercati esteri totalmente pulito, eliminando così la possibilità di risalire alla sua origine primaria3».
Con l’obiettivo di tutelare le risorse naturali ed evitare che l’utilizzo dei minerali di conflitto possa contribuire ad una economia di guerra nelle aree del mondo con un contesto politico e sociale di totale instabilità, una scelta ecosostenibile e deontologica dei materiali può fare una grande differenza – come l’effetto farfalla di cui parlò Alan Turing.

Flora Liliana Menicocci

L’articolo L’equilibrio fra risorse naturali e prodotti dell’industria tecnologica: una sfida per esperti di materiali sembra essere il primo su Il Progettista Industriale.

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Autore: Emanuela Bianchi

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