In un contesto industriale rivolto sempre più al digitale e in un mercato sempre più dinamico e rivolto all’estrema personalizzazione dei prodotti, la stampa 3D sembra essere la soluzione progettuale che meglio e più rapidamente sappia rispondere ai nuovi bisogni legati allo sviluppo prodotto
di Stefano Monti
La parola Progettare ha origine dal latino proiectare, ovvero “gettare avanti”. Dato un obiettivo da raggiungere, la progettazione si compone di tutti quei passaggi logici e formali che hanno origine dall’ideazione, passano attraverso lo studio di fattibilità, giungendo poi alla realizzazione del progetto. In ambito industriale, possiamo intendere con progettazione il processo di ideazione, calcolo e realizzazione di un prodotto. Il risultato finale è un trade-off, ovvero un compromesso, tra il concept iniziale del prodotto e le limitazioni introdotte dalla forma, dai materiali e dai processi tecnologici utilizzati per realizzare i diversi componenti. La progettazione è una corsa ad ostacoli, influenzata in modo importante dai limiti tecnologici dei processi produttivi. Di fatti, i processi manifatturieri tradizionali, come la fresatura, tornitura, fusione, ecc. pongono seri limiti alla forma e alla complessità del prodotto finito. Di conseguenza, il prodotto finale è molto lontano dalla sua forma ideale.
Già da qualche decennio, ormai, a supporto dei progettisti sono state introdotte diverse metodologie per guidare il professionista nell’ottimizzazione di specifici aspetti della vita di un prodotto. Queste tecniche vengono generalmente definite Design for X (ovvero Progettare per …), in cui la X viene sostituita per definire uno specifico aspetto della filiera produttiva. Ad esempio, la lettera A rappresenta la progettazione per l’ottimizzazione dell’Assemblaggio, M sta per Manufacturing (dall’inglese Produzione), ecc… Attraverso queste tecniche è possibile ridurre i costi e la complessità del prodotto finale.
Negli ultimi anni la manifattura additiva viene vista come una tra le tecnologie di produzione del futuro. In un contesto industriale rivolto sempre più al digitale, in un mercato sempre più dinamico e rivolto all’estrema personalizzazione dei prodotti, la stampa 3D sembra essere la soluzione per rispondere in modo rapido ed efficiente a questi nuovi bisogni. I processi di manifattura additiva realizzano il prodotto per addizione, ovvero depositando (quindi aggiungendo) il materiale solo dove necessario. Al contrario, ad esempio, dei processi tradizionali come la fresatura o la tornitura che sono processi sottrattivi, ovvero rimuovono materiale. Questa caratteristica propria della stampa 3D fa sì che non siano necessarie maschere di supporto o costose matrici per realizzare il prodotto. Di conseguenza, la produzione non è legata ad un singolo prodotto e possono essere realizzati in serie prodotti completamente diversi, senza dover sostituire le matrici di stampa o cambiare setup. Tuttavia, questo processo produttivo è in grado di esprimere la sua massima potenzialità solo nel caso in cui anche le scelte progettuali incontrino quelle che sono le libertà e i limiti della stampa 3D. Per far questo è stata introdotta la metodologia progettuale chiamata Design for Additive Manufacturing (DfAM). Vediamo di capire di cosa si tratta.
Design for Additive Manufacturing
La manifattura additiva sta cambiando totalmente i criteri di progettazione. La possibilità di realizzare forme molto complesse a costi competitivi è un’ottima opportunità per progettare prodotti innovativi, capaci di esprimere il miglior compromesso tra prestazioni e peso. Vi sono tutta una serie di tecniche per ottenere componenti ottimizzati strutturalmente, la cui forma fa sì che il materiale sia presente solo dove necessario. Riducendo così sia i costi produttivi, che di funzionamento (perché più leggero). Queste caratteristiche sposano alla perfezione il cosiddetto light-weight design, in cui l’obiettivo primario è l’ottimizzazione del rapporto peso-prestazione di un prodotto. Per far sue queste nuove caratteristiche tecnologiche, il progettista deve modificare il suo modo di ragionare, durante lo sviluppo del nuovo prodotto. Vediamo più in dettaglio di quali parti si compone la progettazione per manifattura additiva.
Innanzitutto, il soggetto della progettazione è la funzione che il prodotto dovrà svolgere. Non i limiti tecnologici. Attraverso la manifattura additiva è possibile ripartire da zero e ripensare totalmente il componente. Questo significa che è possibile ripensare e riprogettare componenti già esistenti, ottimizzandone la geometria per risparmiare materiale o costi di utilizzo.
Il primo elemento che il progettista deve definire in fase di sviluppo/re-design di un prodotto è il Design Space (ovvero lo spazio di progettazione). Esso consiste nel volume in cui il materiale può essere gestito, al fine di identificare la forma finale del prodotto. A questo punto ci sono tre possibili strade che il progettista può seguire:
- Realizzazione diretta: un prodotto esistente viene solamente realizzato con stampa 3D, senza modificarne la forma. In questo caso il Design Space è limitato al solo processo.
- Adattamento del componente: in questo caso il Design Space prende in considerazione sia il processo, che la forma del prodotto. Si parte dalla forma del componente originario per ottenere una versione ottimizzata, passando il modello virtuale in particolari simulatori (che verranno descritti in seguito).
- Progettazione da nuovo: il prodotto viene ripensato da zero, come se non esistesse. Si mette in discussione completamente sia il design del prodotto che la sua funzione, con l’obiettivo di migliorare il sistema a tutto tondo. Seguendo questo procedimento è possibile ottenere il miglior risultato in termini di riduzione del peso, performance del prodotto e costi di realizzazione.
Questi tre livelli rappresentano l’entità del cambiamento che si vuole introdurre nel design dei propri prodotti. Per progettare con l’ottica di ottimizzare la forma dei componenti, è chiaro che servano strumenti per identificare dove è necessario porre materiale e dove può essere rimosso. Un procedimento di questo tipo non può essere svolto a mano. Sono necessari strumenti di modellazione e simulazione virtuale in grado di svolgere queste operazioni. Vediamo di capire quali sono i metodi che possono essere adottati per ottenere l’ottimizzazione strutturale del prodotto.
Strumenti per una progettazione senza confini…
Con metodi di ottimizzazione strutturale si intendono tutti gli strumenti in grado di gestire il modello digitale di un componente. Costruendo opportunamente il modello di funzionamento del sistema, si è in grado di stimare gli sforzi e le deformazioni a cui il prodotto sarà sottoposto una volta posto in esercizio. Di conseguenza il sistema è in grado di identificare le regioni meno sottoposte a sforzo, eliminare materiale da quella zona e ricalcolare la distribuzione di sforzi. Questo procedimento viene ripetuto in sequenza, in un ciclo iterativo, fino a quando la variazione della geometria tra un passaggio e l’altro diventa trascurabile. Così facendo si ottiene la geometria ottimizzata del prodotto. Nel linguaggio tecnico, questo strumento viene chiamato Ottimizzazione Topologica.
Un ulteriore strategia consiste nell’adottare geometrie a scala variabile, ovvero utilizzare elementi strutturali aventi dimensione caratteristica variabile tra centimetri, millimetri e micron. In questo modo è possibile ottimizzare ulteriormente l’uso del materiale, riducendo conseguentemente il peso del componente finale. Questo è un aspetto fondamentale in molti campi industriali, come ad esempio il settore aeronautico, automotive (e non solo per le corse di Formula 1). Di fatti, riducendo il peso del sistema, si riduce conseguentemente il consumo di carburante, rendendo così il sistema più sostenibile sia a livello economico che ambientale. Il tutto poi può essere relazionato all’utilizzo di materiali diversi per lo stesso prodotto, cambiando materiale di apporto in funzione delle prestazioni richieste nelle varie parti del prodotto. Così facendo si lavora anche sulla densità dei materiali utilizzati, ottenendo un ulteriore vantaggio dal punto di vista delle performance.
Il/La progettista deve tenere bene a mente le potenzialità offerte da questa tecnologia durante lo sviluppo dei prodotti. Tuttavia, nonostante le enormi libertà che caratterizzano la stampa 3D, vi sono alcuni limiti, o meglio, considerazioni progettuali da tenere ben presente. Vediamo di capire quali sono.
… ma attenzione
Nonostante la grande libertà offerta dalla manifattura additiva, è molto importate tenere presente che anch’essa ha dei limiti. Questi “svantaggi” della manifattura additiva riguardano principalmente la relazione tra materiale e processo fisico utilizzato. I sistemi di additive manufacturing più diffusi oggi sul mercato sfruttano il processo di fusione del materiale. Nel caso di stampa con polimeri, la deposizione del materiale avviene tramite una testa caratterizzata da un ugello riscaldato e il filo di plastica (che rappresenta il materiale d’apporto); per i materiali metallici, invece, uno dei metodi più diffusi è il powder bed fusion, dove la polvere metallica viene stesa nella zona di lavoro, un fascio laser (o a elettroni, ecc..) riscalda localmente il materiale, portandolo a fusione. In entrambi i casi, la lavorazione avviene punto a punto, seguendo poi un percorso necessario a coprire tutto lo strato. Questo sistema è chiaramente molto lento, di fatti oggigiorno alcune aziende stanno sviluppando metodi di stampa che siano in grado di depositare materiale su tutta la superficie richiesta, in un singolo passaggio. Così facendo, la velocità di produzione aumenta anche di cinquanta volte!
Il fatto di riscaldare e fondere il materiale pone certi limiti dal punto di vista dei materiali che possono essere processati. Inoltre, le caratteristiche intrinseche del materiale possono influenzare le prestazioni del prodotto finito. Ad esempio, alcuni materiali polimerici in genere presentano un comportamento differente in funzione della direzione di carico, cioè hanno caratteristiche anisotrope. Ciò significa che per questi materiali, anche la direzione di stampa, l’orientazione e il posizionamento del pezzo nell’area di lavoro sono elementi essenziali nel definire le prestazioni del prodotto finito. Inoltre, nel caso di manifattura additiva su materiali metallici, il riscaldamento del materiale accentua i fenomeni corrosivi. Perciò è necessario che la camera di lavoro sia riempita con gas inerte, eliminando (quasi) completamente l’ossigeno.
Soprattutto parlando di manifattura additiva con materiali metallici, il prodotto appena realizzato non può essere subito messo in esercizio. Di fatti, è necessario effettuare trattamenti termici di distensione, al fine ridurre l’entità degli sforzi residui. Dopodiché il prodotto deve essere sottoposto ad una serie di finiture superficiali. Niente di diverse da quanto viene fatto oggi con tecnologie tradizionali, ma è importante sottolineare che lo stesso criterio deve essere seguito anche per la manifattura additiva.
Il nuovo volto dell’industria
La manifattura additiva è un grande passo verso l’industria digitale. Oggi il mercato sta spingendo molto verso questo cambio di paradigma, perché più efficiente, presenta un miglior controllo dei processi ed è molto flessibile. La caratteristica principale è l’ottimizzazione dei prodotti. Un miglior utilizzo del materiale permette di risparmiare risorse, non solo in fase produttiva, ma ha effetti su tutta la filiera. Allo stesso modo, la manifattura additiva porta vantaggi anche nell’ambito della progettazione, permettendo al progettista di liberare la creatività, per realizzare prodotti altamente innovativi ed efficienti. Già oggi è possibile realizzare i prodotti del domani, con lo sguardo sempre rivolto all’ambiente.
L’articolo Progettare per la Manifattura Additiva sembra essere il primo su Il Progettista Industriale.
Autore: Emanuela Bianchi
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